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Giampietro Agostini photography
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Testo di Roberta Valtorta
tratto dalla mostra Irlanda del Nord, 1986


Giampietro Agostini - Irlanda del Nord

Si parla spesso di crisi del reportage, e non solo in termini economici, ma anche espressivi. Ma è tutto il nostro modo di comunicare, il nostro modo di intendere l'informazione e di vivere il tempo, lo spazio, la storia, che vanno lentamente ma radicalmente mutando. Insieme ai modi di produzione, mutano dunque la nostra cultura e i nostri bisogni.
Si affaccia però, in fotografia, un giovane pensoso modo di rinnovare il reportage che sposta l'accento dall'accadimento al segno: se prima era l'evento a costituire il materiale di lavoro del fotografo e il modulo espressivo era quello della narrazione, ora il nuovo reportage (quello almeno che riusciamo in questo momento a intravvedere) cerca le tracce degli accadimenti, legge in maniera più frammentaria l'ambiente ricco di segni lasciati dagli uomini con le loro scelte, le loro sorti, la loro storia.
Il lavoro di Giampietro Agostini può a buon diritto inserirsi in questo mutato quadro. Dotato di una sensibilità di tipo riflessivo e vicino alla realtà quasi sentimentalmente, Agostini cerca, tendenzialmente, situazioni cariche di valori simbolici, indaga quanto di umano sia rimasto nei luoghi, registra spesso una solitudine sospesa non solo sugli uomini, ma anche sugli spazi e sulle strutture.
Le immagini di questo «viaggio in Irlanda» non si riferiscono alla guerra se non in modo indiretto, discreto: è piuttosto l'ambiente ad essere indagato, quasi «ripensato», e non narrato. E se i segni riguardano, necessariamente, ciò che è già accaduto, rimandano però, in una sorta di sospensione temporale, a ciò che ancora potrà accadere, all'esistenza che muta e continua. E non potrebbe essere che così, in un momento storico di grande passaggio in cui le nostre scelte vengono spesso lette non in un rapporto fra passato e presente - secondo una dimensione storicistica - ma fra presente e futuro.